PACKAGING

Viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti, cambiamenti rapidi, talmente rapidi che noi stessi, fautori dei meccanismi inesorabili che stanno all’origine, non riusciamo più a rincorrere e a comprendere.

Non si tratta più di retorica, di crisi dei valori, superficialità o qualunquismo, ma di qualcosa di più pericoloso e subdolo che ci avvolge e trascina in un vortice di non ritorno.

Invariabilmente, la donna ne diventa l’emblema, il simbolo.

La donna è da sempre il fulcro della società, dell’esistenza umana. È la portatrice “sana” della vita, colei che la genera. Ma, per la cecità e quella forma di sete di potere insita nel genere umano che troppo spesso prevale sulla ragionevolezza, ne è spesso diventata la vittima, la parte fisicamente debole sulla quale perpetrare l’insana follia di una supremazia maschile.

Con le conquiste ottenute dopo secoli di battaglie e l’indiscutibile miglioramento a livello sociale e tecnologico, tale incongruenza dovrebbe essere superata. E invece appare ancor più grave e anacronistico l’emergere ancora oggi e con più forza, la difficoltà femminile per affermare la propria “parità” e ruolo fondamentale e necessario nella società.

Questo proprio perché l’uomo, inteso come la parte debole e poco coinvolta a livello culturale, si ritrova a misurarsi con questa realtà in rapido divenire, in cui la donna dimostra inconfutabilmente la sua imprescindibile e determinante partecipazione in tutti i campi e i livelli. E questo senza dar tempo e modo di adattarsi a chi ha sempre considerato la donna un essere inferiore o, perlomeno, non adatto a rivestire certi ruoli un tempo prerogativa maschile.

Ed ecco che, insieme ad un mondo che corre verso la sua deriva, all’autodistruzione, in nome di un improbabile progresso, la donna assume sempre più l’emblema della sua sconfitta, di quella impotenza a gestire un meccanismo innestato e ormai quasi irreversibile. Diventa un facile bersaglio su cui indirizzare frustrazioni e inadeguatezze, in una spirale di violenza e soprusi sempre più evidente.

È solo un aspetto di un meccanismo perverso che sta portando l’umanità a soffocare nel suo stesso veleno autoprodotto, a circondarsi di cumuli di rifiuti, a continuare a produrre quella plastica indistruttibile di cui siamo ormai sopraffatti.

“Packaging” era un termine diventato sinonimo di produttività, ingegno e progresso. Progettare un involucro destinato a contenere un prodotto era diventato motivo di orgoglio, lo scopo di ogni designer per dimostrare la propria creatività.

Ora rappresenta invece il vero significato etimologico, l’impacchettamento dell’uomo in una spirale perversa che lui stesso ha creato, fino a farlo soffocare nel suo stesso prodotto.

In queste immagini ho voluto rappresentare e testimoniare questa micidiale e assurda realtà, la metafora in cui la donna torna invariabilmente protagonista, avviluppata e soffocata dall’ignoranza e dalla violenza, imprigionata ancora una volta a causa dei pregiudizi e dell’arroganza di una certa parte dell’umanità.

Ma voglio ancora credere e sperare che lei e la parte di quell’umanità che ancora sa lottare e capire il senso incommensurabile della vita, possano ribellarsi a questi organismi subdoli e perversi e ritrovare una via d’uscita che possa farci riappropriare di quella dignità, rispetto e giusta dimensione di cui ogni essere umano avrebbe il diritto.

Ognuno di noi, uomo o donna che sia, con ruoli e capacità diverse è peculiare, unico e necessario. Siamo esseri liberi. Non siamo “Packaging”.